UN TEMPO NUOVO PER L’ECONOMIA E LA SOCIETA’

 



UN TEMPO NUOVO PER L’ECONOMIA E LA SOCIETA’

Lunedì 29 aprile p.v.,

alle ore 20.30

Pieve di Soligo

Auditorium comunale Battistella-Moccia

piazza Vittorio Emanuele II

 

Introduzione di Savino Pezzotta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premessa

Grazie per l’invito,

per me è un onore partecipare a questo incontro per ricordare una figura che per chi come il sottoscritto si rifà al cattolicesimo sociale rappresenta e resta un Maestro. Facendo riferimento alla lezione montiniana della “Evangelii nutiandi” devo aggiugere che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni” , questa frase si adatta perfettamente a Giuseppe Toniolo.

Inoltre, sono convinto che questo è il tempo opportuno per richiamare alla nostra mente e al nostro cuore il suo pensiero e la sua azione.

Le preoccupazioni, i timori e le paure che la situazione economica e politica attuale suscitata in molti di noi e, soprattutto, nelle famiglie e nei ceti più deboli e fragili della società, possono ancora trovare in lui un punto di riferimento, di stimolo e esempio.

Quando dodici mesi fa si tenne la solenne celebrazione della beatificazione nella basilica romana di San Paolo fuori le mura, sentimmo nel profondo che la sua “lezione” di vita, di studio e di azione poteva dirci ancora molto e si faceva giustizia di tante dimenticanze.

Essere attenti al suo pensiero non deve significare ripeterlo pedissequamente, perché sarebbe un tradimento. Un pensiero rimane vivo se si declina nei tempi e se feconda i pensieri e le azioni successivi e tiene conto dei cambiamenti che sono intervenuti.

Mi siano consenti alcuni brevi cenni:

  • la frattura tra Mondo cattolico e stato italiano si è ricomposta e oggi i cattolici partecipano direttamente alla vita politica e civile del Paese, sia in forma organizzata che individuale. E’ venuto meno il partito di cattolici ma non le possibilità di una loro presenza e testimonianza;

  • Il nostro tempo è segnato dal passaggio dalla società industria a quella post-industriale o , come qualcuno preferisce dire, dalla modernità alla post-modernità. Mentre ai suoi tempi si traghettava dalla società agricolo- mercantile a quella capitalista industriale e deve le questioni politiche sociali erano dominate dall’emergere della questione operaia. Tempo anche il suo come il nostro di transizione;

  • La società del suo tempo era immersa nella cristianità , mentre oggi viviamo una situazione più secolarizzata e multireligiosa;

  • Il colonialismo politico è stato superato e noi viviamo l’epoca della globalizzazione policentrica e dell’interdipendenza mondiale;

  • Le nazioni europee sono uscite da nazionalismo e accarezzano l’idea dell’Unità Europea.

Dobbiamo anche mettere in conto che in questo secolo che ci separa da lui si sono sperimentati i totalitarismi, i campi di sterminio e di concentrazione, due guerre mondiale e la predisposizione di armamenti nucleari la cui la cui potenza può distruggere la vita umana, come Giovanni XXIII aveva intuito con la “Pacem in Terris”. E’ parimenti stato il periodo in cui il progresso scientifico ha dato vita ad applicazioni tecniche che hanno modificato la nostra vita. Il succedersi di queste situazioni ha segnato in profondità la coscienza europea. Né possiamo dimenticare che c’è stato il Concilio Vaticano II che ha ridato slancio alla Chiesa e al popolo di Dio, oltre che una serie di pontefici che hanno segnato il mondo e il nostro modi di vivere e pensare la fede.

Ci troviamo a vivere in due mondi estremamente diversi anche se segnati da profonde trasformazioni e dalla transizione da un ordine socio-economico ad un altro.

Con questa introduzione non voglio assolutamente dire che riflettere oggi sulla vita e l’opera di Toniolo sia puro esercizio di memoria. Sono convinto che invece è necessario e utile come verso tutti i nostri maestri del passato cercare di capire il loro tempo e rapportarlo al nostro. Sapere da dove si viene, conoscere i passi di chi ci ha preceduto diventa sempre più necessario se vogliamo sapere dove andiamo.

Sono intimamente convinto che una larga parte delle difficoltà che la politica e la società incontrano, sorga dall’aver perso il senso di una direttiva di marcia, di non aver più elaborato un pensiero capace di comprendere il presente e dipanare le vie al futuro. Non si naviga in una mare in tempesta come quello in cui siamo collocati se non possediamo le mappe, se non abbiamo le stelle che ci orientano. Tornare ai padri e farlo con spirito critico e innovativo significa ritrovare le trame su cui tessere l’ordito per il tessuto del nostro futuro, senza questa operazione significa restare nudi e deboli rispetto agli accadimenti. Chiediamoci se si può costruire un pone o una cattedrale senza un disegno? Essere andati oltre le ideologie è stato un bene perché ha liberato le capacità creative e dialoganti, l’errore , se si così si può dire, è essersi ripiegati sul presente e sulla sua gestione.

Studiare il pensiero del Toniolo solo con piglio storico o filologico , come mero episodio della storia del movimento e del pensiero sociologico ed economico d’ispirazione cristiana è sicuramente utile e interessante, ma se lo vogliamo rendere fecondo lo dobbiamo criticamente valutare e scandagliare nella sua formazione e declinazione teorico-pratica.

Fare del Toniolo un autore del passato, da studiare con distacco e nella consapevolezza della distanza che ci separa da lui e dalle sue proposte rispetto ai temi sociali e di superamento delle emarginazioni sociali, significa dichiararlo morto.

Il Toniolo era convinto che la verità si declina nel presente e si proietta sul domani e che presente e passato non son altro che due tappe della storia della “civilizzazione” per usare un termine a lui caro. Un incivilimento che non può mai manifestarsi in senso pieno ma che ha bisogno di essere incardinato costantemente nell’agire dell’uomo. Questo discoro vale in particolare per noi cristiani che ogni domenica partecipando alla Messa diciamo che siamo in attesa della Sua Venuta, poiché è solo con il ritorno di Cristo che arriveremo al compimento dell’inizio, nel tempo che ci è dato e donato dobbiamo agire nella storia e mantenere l’olio della fede nella nostra lampada.

Con questi sentimenti e per il rispetto e la gratitudine che gli dobbiamo avvicinarci a lui, alla sua lezione e alla sua vita con attenzione ed esercitare quel discernimento che ci aiuti a trattenere ciò che ci può ancora essere utile per orientare il nostro agire.

Dovremmo avere il coraggio di cogliere quello che Romano Guardini afferma nel commemorare il sacrificio dei ragazzi della Rosa Bianca : “si può ricordare un uomo soltanto dicendo come in verità egli è stato”. Noi oggi non possiamo comprendere a fondo la personalità del Toniolo non avendolo conosciuto di persona e pertanto costretti a una conoscenza mediata da chi ne ha parlato o scritto, ma Guardini ci indica un’altra via: “ed è quella di domandarsi quali idee essi hanno servito e da quali valori si sono sentiti obbligati ad agire”. Il Toniolo si è sentito obbligato ad agire dalla sua profonda fede cristiana e dal suo amore per la Chiesa.

Il mio intervento tenta di seguire questa via e cercare di comprendere quali verità l’hanno guidato e se queste possono ancora guidare i nostri comportamenti sociali e politici.

Alcune considerazioni su questo aspetto:

  • L’opera scientifica del Toniolo è attraversata in tutti i suoi aspetti da una visione cristiana del mondo. La sua oserei dire è una contemplazione assunta come conoscenza del mondo, delle cose, delle persone, delle opere , dei fenomeni sociali, delle nuove emersioni economiche politiche, che parte dal suo essere cristiano per poi dire, scientificamente, cosa ha visto e cosa si deve fare. Il suo punto di partenza è quello della fede cristiana che lo aiuta a vedere in profondità le questioni sociali, economiche e soprattutto umane per attivare le forze della verità. Del resto il cristianesimo è sempre tensione positiva verso il mondo e l’uomo perché si fonda sulla carità.

  • Agisce e pensa animato da un profondo senso storico, attraverso il quale imposta correttamente le sue analisi e proposte e affronta le questioni sociali e politiche del suo tempo.

  • E’ animato da un senso sociologico che risulta da una visione della sociologia e dell’economia sociale attraverso la conoscenza reale e poi scientifica dei problemi. Si è confrontato con i maggiori pensatori dell’economia e credo sarebbe utile rileggere le pagine che dedica ad Adam Smith e la critica che egli rivolge alla natura individualista del suo sistema. Su questa critica dovrebbero riflettere gli estimatori dell’economia politica di matrice anglosassone e liberista, visto che dalla Thacher in avanti ha generato molte disuguaglianze.

Cosa possiamo ricavare da tutto questo, oltre che dei principi fondamentali si presenta chiaramente una indicazione metodologica a valere per l’oggi, ovvero la necessità di mantenere un intreccio tra storia, economia e analisi sociologica. Si tratta di avere una visione generale e non frammentata dei fenomeni e delle situazioni e dell’andamento delle istituzioni sociali nel processo di sviluppo umano, o di civilizzazione secondo la sua terminologia.

Questa metodologia lo ha portato a guardare con attenzione al come si evolveva la società del suo tempo.

Siamo in Italia, agli albori dell’industrialismo capitalista che lui analizza non partendo dall’elaborazione teorica ma avendo presente la condizione delle persone e da quali contrazioni sociali e sofferenze umane produceva questo mutamento economico.

Non erano in molti, anche in ambito cattolico, che si accorgevano o avevano coscienza del sorgere di quella che Leone XIII aveva definito “ la questione sociale” che poi era di fatto la “questione operaia” e molte volte negavano il problema , mentre la condizione umana di migliaia di persone, donne , bambini e uomini veniva piegata , dall’espandersi dell’industria, a condizioni dolorose, di sfruttamento e di subordinazione.

Dopo anni di sindacalismo, di politiche sociali, di crescita del benessere facciamo fatica a comprendere le condizioni a cui erano sottoposti gli operai, i contadini, i braccianti e le filandere di quel tempo. Il capitalismo nascente si alimentava oltre che di imprenditività anche di dolore e sofferenze.

Oggi la crisi che stiamo attraversando alimenta il malessere e la sofferenza di migliaia di persone che non può non turbarci e inquietarci, la questione sociale , in termini diversi , torna a presentarsi davanti a noi., A volte mi chiedo se tanti anni di impegno sociale non stia per essere incrinato.

Le condizioni che erano sotto gli occhi del Toniolo erano molto gravi e pesanti:

  • tra i contadini che erano la maggioranza del popolo lavoratore, dominava la miseria;

  • gli operai dell’industria erano sottoposti a condizioni pesanti: bassi salari, orari alti che andavano dalle 14 ore al giorno in avanti, diritti pochi o nulli, subordinazione totale.

  • La condizione delle lavoratrici era di puro sfruttamento e l’uso dei bambini abbastanza comune.

L’industria avanzava , trasformava la società, incideva nelle relazioni sociali , trasformava le configurazioni territoriali e la dinamica comunitaria. Si generavano i conflitti e nascevano i sindacati.

Era una grande trasformazione che metteva in discussione e in movimento tutto un ordine sociale e che incideva sui costumi, le relazioni e il sentire religioso. Dentro questo turbinio nascono e si diffondono le idee anarchiche e socialiste.

Il problema della giustizia sociale si pone anche al mondo cattolico per il suo radicamento popolare e la cura del prossimo cui lo obbliga il messaggio evangelico.

Il Toniolo colse il senso profondo dei cambiamenti in corso e sulla base di un pensiero teoricamente e scientificamente fondato, elabora proposte e modelli di organizzazione sociale che puntano a ripristinare la dignità delle persone al lavoro: sindacati, cooperative, credito, istituzione.

A differenza degli altri riformatori o rivoluzionari sociali che puntavano a ribaltare l’ordine esistente in nome di un disegno a tendenza collettiva e statalista , il movimento riformatore di ispirazione cristiana faceva centro sulla persona, sulle sue capacità, su elementi di sussidiarietà, di mutualità e di solidarietà nel nome della dignità della persona.

Non si attendeva l’avvento del sol dell’avvenire , ma si puntava a mobilitare le persone in termini di coscienza civile, di capacità di autorganizzazione e di solidarietà . Si proponeva un modello diverso da quello liberale dominate e da quello socialistico nascente.

Che insegnamento possiamo trarre da questo agire per l’oggi?

La prima cosa che dobbiamo fare è quella di essere consapevoli che anche noi siamo collocati dentro una “grande trasformazione” che dobbiamo imparare a leggere e interpretare.

La griglia che dobbiamo usare per fare questo lavoro è ancora la “dignità della persona”. Si tratta di vedere se dentro i cambiamenti le persone sono rispettate e tutelate indipendentemente da dove vengono, che lavoro fanno , se sono bianche o nere, di quale religione. Una società decente per essere tale deve avere questi criteri. Lo scontro e il confronto vero che attraversa le nostre società non è solo quello che riguarda la distribuzione della ricchezza, c’ qualche cosa di più profondo e che va oltre le nostre classificazioni tradizionali di destra, sinistra, centro , ma si articola sulla dialettica tra visione dignitaria e quella libertaria della persona. Un confronto che parte dalla messa in discussione della famiglie e del matrimonio tra un maschio e una femmina.

L’attuale Papa Francesco in una intervista che fece da cardinale con il rabbino di Buenos Aires riportate nel libro “Il cielo e la terra” dice cose molte chiare sul significato antropologico e non religioso del matrimonio, sul quali tutti cristiani e laici siamo chiamati a riflettere.

Fase di crisi



Vediamo ora di indicare quali sono a mio pare i tratti di questa trasformazione in atto.

Ci sono parole che accompagnano in modo quasi ossessivo la nostra quotidianità, tra queste la più usata oggi è “crisi”. Un termine che mette in tensione e che provoca incertezze. Chi ne sa più di me, spiega che questo termine deriva dal greco e che significa separare, discernere, giudicare, valutare. Noi lo usiamo in una accezione negativa, che sta ad indicare il peggioramento di una situazione o la messa in discussione e in movimento di ciò che credevamo stabile: si chiude una fase della storia e se ne apre un’altra. Le modalità precedenti nelle quali abbiamo vissuto non funzionano più, non danno più risposte e veniamo gettati in una situazione di incertezza, di timore, di interrogazioni. Questo mi sembra il clima che stiamo vivendo da qualche anno.

E’ chiaro che essere in una situazione di crisi produce dei ripensamenti profondi, ti obbliga a rivedere le tue idee, a modificare i tuoi stili di vita e a ricercare un nuovo equilibrio. Un percorso difficile che ti costringe a trovare nuove risorse e a ristrutturati. Quella che stiamo attraversando pone tanti interrogativi e genera in noi la nostalgia del tempo passato. E’ inutile pensare alle “cipolle d’Egitto” quando si deve attraversare il deserto, al contrario bisogna volgere lo sguardo oltre e cercare nuove vie.

Personalmente anch’io ho dovuto cambiare il mio modo di pensare, gettare al vento tante convinzioni e ristrutturare il mio pensiero e acuminare lo sguardo, acquisire nuove sensibilità e attenzioni e approfondire quelle che avevo per reagire a una situazione che mi appariva senza sbocco. Ho dovuto cercare di costruire una capacità critica che mi consentisse di fare fronte, di resistere e di riorganizzare il mio modo di pensare. Posso dire che la crisi mi ha cambiato e mi sta ancora cambiando e questo è uno dei motivi che mi ha spinto a non ricandidarmi , ad uscire dalla politica istituzionale per rimettermi per via.

LA GRANDE TRASFORMAZIONE

La crisi sta mutando, lo vogliamo o meno, il nostro modo di essere e le relazioni nella società. Non credo che sia un percorso facile. Siamo segnati in profondità dalla nostra storia, dalle nostre esperienze, dalla scelte politiche, sociali e di vita che hanno segnato la nostra personalità.

Veniamo da quella che è stata definita la società del lavoro e in particolare del lavoro industriale. La nostra vita, le relazioni sociali , economiche e politiche erano condizionate e organizzate secondo il modello industriale di produzione di beni, del commercio, dello scambio e del lavoro. Tutto questo sta cambiando, se non è del tutto cambiato.

E’ messa in discussione l’idea di progresso che avevamo interiorizzato e che si basava sull’idea ottimistica di una crescita senza limiti e che è stata il maggior supporto ideologico dell’industrialismo e della logica consumista. La crisi economica che stiamo vivendo demolisce molti miti e nello stesso tempo muta gli atteggiamenti sociali.

Cosa è realmente successo ?

Il cambiamento inizia con il venire meno della divisione bipolare del mondo. pensavamo che quell’avvenimento segnasse la fine della storia e che davanti a noi si aprisse la strada del progresso inarrestabile. Non abbiamo considerato che lo sblocco avrebbe generato, come sempre avviene nella storia, processi nuovi. Il capitalismo è un sistema che procede per cicli e che la natura qualitativa dei processi di sviluppo determina un mutamento anche degli aspetti quantitativi della crescita economica. Ed oggi ci rendiamo conto come le modifiche qualitative soprattutto sul piano dell’innovazione tecnologica e scientifica tendono per loro natura a generare discontinuità e differenziazioni nel modello in essere.

Per quanto riguarda il lavoro. negli ultimi trent’anni, durante i quali si è verificato un mutamento qualitativo nell’organizzazione produttiva e dei servizi che non siamo stati capaci di prevedere e di gestire :

  • E’ cambiata la politica, mentre fino all’inizio degli anni ottanta l’obbiettivo cui le società industriali puntavano era quello della piena occupazione, del welfar e di una società più solidale con l’affermarsi del neoliberismo della Signora Thacher e di Regan. Le problematiche sociali e comunitarie hanno perso centralità e tutto si concentrato sull’individuo, inteso come una monade in competizione. E così il lavoro che dava senso al vivere sociale si è trasformato in pura merce e ha iniziato a perdere la sua centralità diventando un elemento di risulta di politiche e attività economiche finalizzate ad altro e in particolare alla ricchezza individuale.

Il motto trionfante è stato quello dell’arricchitevi che alla fine tutti ne beneficeranno. La parabola spesa ad ogni piè sospinto e che riaffiora tutt’ora è quella che dice che “se il mare cresce si alzano anche i bastimenti”.

Abbiamo tutti gioito quando abbiamo potuto “assassinare” le nostre ideologie e abbiamo fatto bene. L’errore che abbiamo commesso è stato di pensare che con il superamento dell’ideologia potessimo andare oltre le “visioni del mondo” intese come comprensione e interpretazione unitaria della realtà e pertanto animata da valori e ideali. Ci siamo così avviati su terreni scivolosi. Viviamo in una situazione in cui una gran parte delle persone si sente alienata o semplicemente disaffezionata dal discorso politico complesso e non solo dai partiti che in questi anni poco o nulla hanno fatto per ristrutturarsi culturalmente e organizzativamente restando ancorati a nostalgie palesi e inconsce e a forme organizzative superate. Sono indeboliti i riferimenti morali ed etici e l’unico criterio di giudizio è diventato il successo personale.

Sono convinto che il venire meno della passione civile e politica sia anche dovuto all’assenza di “vision” che giustifichino l’impegno, la sofferenza, il sacrificio, il progetto di un futuro da iniziare e che è sempre da costruire . Un poco di utopia e di profezia serve per scaldare mente e cuori. Tendono invece a predominare due altri elementi: la gestione e il consenso. Non è un caso che sia venuto di moda un termine inglese come “governance”, ovvero l’idea che basti gestire tecnicamente bene il presente, che per fare questo sia sufficiente il consenso, che ogni idea di mandato sia in se stessa riprovevole. Siamo alla sfiducia del principio democrati della maggioranza. La governance si presenta come un governo senza governo e pertanto tesa alla composizione degli interessi in campo e al compromesso corporativo.

Se vogliamo uscire dalla situazione di crisi della politica, occorre ripristinare il principio di autorità che non confondo con l’autoritarismo che affascina molti. La politica non può fare a meno dell’autorità ma deve essere chiaro che ciò non significa solo poter decidere e comandare, ma deve avere in sé elementi morali ed etici.

Negli ultimi vent’anni questa idea di autorità è venuta meno e si è dileggiata attraverso la corruzione, l’interesse privato e corporativo in atti pubblici, comportamenti personali non consoni ai ruoli ricoperti. Si è insinuata nella politica italiana, anche a causa della proposta liberista, una sorta di nichilismo e relativismo di cui occorre liberarsi. Una visione che ha coinvolto anche lo sguardo pubblico sulla religione, che molte volte è utilizzata più che rispettata come un elemento costruente e presente nella fondazione etica di una società.

Ci troviamo collocati in una situazione di “democrazia tradita”. Il degrado della politica è sotto gli occhi di tutti, ma non possiamo come cristiani abbandonarci all’antipolitica o ritirarci nel nostro ambito parrocchiale o associativo. Quando la politica diviene il territorio del demonio noi siamo obbligati ad attraversale per farvi entrare la grazia e la moralità.

  • E’ cambiata la geografia economica e si è affermato quel fenomeno che chiamiamo globalizzazione e che si fonda sulla sempre maggiore interdipendenza mondiale e che ha prodotto l’emersione di paesi come la Cina, l’India, la democratizzazione e la crescita economica dell’America latina . Fenomeni importanti dal punto di vista dello sviluppo economico e, per molti versi, umano in quanto milioni di persone che erano condannate alla fame ne stanno uscendo. Il mercato mondiale si è ampliato e che , di conseguenza, ha generato un livello di competitività molto alto che ha prodotto una nuova divisione internazionale del lavoro che ha generato uno spostamento del lavoro nei luoghi dove costa meno generando una perdita di valore, ma anche una fuga dai luoghi dove non c’è: delocalizzazione e migrazioni sono due facce della stessa medaglia.

Fenomeno che abbiamo conosciuto agli albori della società industriale dove la concorrenza tra chi domandava lavoro aveva come conseguenza un abbassamento del suo valore economico, ora questo avviene a livello planetario. Oggi a farne le spese sono i lavoratori sfruttati e sottopagati in molte parti del mondo e i lavoratori dei paesi ricchi che vedono erodere le loro conquiste sociali.

  • Il progresso scientifico ha generato nuove tecnologie che a loro volta hanno rivoluzionato il modo di produrre , cambiato la nostra vita e le relazioni sociali. Proviamo a pensare come è cambiata la tecnologia dei trasporti, dell’informazione e della comunicazione che è la vera rivoluzione degli ultimi anni. Lo sviluppo delle nanotecnologie , della bioinformatica, della robotica e delle neuroscienze aprono a nuovi e inediti scenari poiché si tratta di scienze e tecniche in grado di cambiare in profondità le prestazioni fisiche e intellettuali dell’uomo e il rapporto con l’ambiente e le risorse naturali . Quali ricadute avranno simili cambiamenti sul lavoro, la produzione, la ricchezza e la sua distribuzione non ci è ancora dato da sapere. La rivoluzione scientifica e tecnologica che stiamo vivendo è pervasiva e ormai incide su tutti i processi produttivi, comunicativi, commerciali, di servizio e riduce il contenuto di lavoro umano e pertanto il valore economico del lavoro.

L’apparato tecnico-scientifico sta modificato le forme e i modi con cui costruivamo la nostra identità personale e di gruppo che, prima legata al territorio in termini di relazioni umane, parentali,comunitarie e lavorative, mentre oggi protende sempre di più a svincolarsi dalla stanzialità e il connettivo a sostituire il comunitario o per lo meno ad invaderlo; con il cellulare e della posta elettronica, la rete, internet siamo diventati ubiqui e il nostro prossimo abita ovunque. Stiamo lentamente e progressivamente perdendo il senso della prossimità reale, quella dei volti per quella impalpabile della connettività. Nell’illusione di essere collegati con il mondo precipitiamo nella solitudine. Il prossimo per essere tale deve avere un corpo, un odore, degli occhi, delle mani e un volto.

Inoltre, oggi possediamo armi e oggetti la cui potenza distruttiva è globale e questo muta in profondità il rapporto tra noi e il mondo: credevamo che la morte e la fine del mondo potessero derivare dalla natura, ora sta nella grande potenza degli umani.

Possiamo dire, senza ombra di dubbio, che in questi ultimi trent’anni è avvenuto qualche cosa di grandioso e di stupefacente che ci colloca dentro una grande trasformazione , di cui sempre più dovremo tenerne conto

Il mondo che abbiamo conosciuto si sta esaurendo e un nuovo mondo sta emergendo e questo ci pone tanti problemi. Siamo entrati quasi senza accorgercene in un modo nuovo, l’umanità ha abbandonato le consuetudini, i lavori e le forme relazionali e politiche elaborate nel lungo tempo passato. I nostri bambini non sanno cosa può essere e che valore può avere un animale, la campagna come luogo di vita è diventato marginale e tutto tende concentrarsi sulle città e immense megalopoli che vanno coprendo la superficie terrestre, Si è modificato profondamente la percezione del nostro corpo, un tempo, le malattie coincidevano con la normalità, ora è la salute ad essere diventata la norma.

Per sintetizzare possiamo dire che l’attuale grande trasformazione economica che sempre più assume il carattere di crisi sistemica globale e che incide in profondità sui sistemi politici e sociali passa attraverso:

  • La crisi del sistema economico-finanziario neoliberista occidentale e mondiale;

  • L’avanzare di una crisi ecologica-energetica-climatica;

  • L’irrisolta questione degli armamenti nucleari: Iran, Corea del Nord, Israele, India-Pakistan e le grandi potenze;

  • La transizione da un sistema mondiale bipolare/unipolare a una articolazione multipolare, con il baricentro spostato verso Est e verso Sud;

  • Crescono le povertà e le disuguaglianze anche nei paesi che pensavamo non dovessero più fare questa esperienza. La Caritas ogni giorno ci richiama al fatto che anche nel nostro Paese i poveri crescono e che a pagare di più il prezzo di tutto questo sono soprattutto i bambini.

La crisi attuale è ,pertanto, un’intreccio articolato e di varie crisi e non solo economica, ma nasce dal fatto che le nostre culture, i nostri modi di pensare, di vivere, di relazionarci e di dare valore alle cose o ai comportamenti e allo stesso lavoro, sono sottoposti ad una pressione altissima entro la quale facciamo fatica ad orientarci. In discussione sono gli stessi principi morali e valoriali che fungeva da collante delle nostre società .

A fronte a tutto questo provo sentimenti ambivalenti , da un lato sono scosso dal ripresentarsi di una questione sociale che ha la cifra della disuguaglianza sempre più profonda , ma nello stesso tempo sono affascinato dal turbinio delle mutazioni indotte dalla tecnica e dalla scienza . Da un lato vedo la possibilità che si aprano prospettive nuove e condizioni di vita migliori, dall’altro avverto che, mettendo in discussione il mio l’ottimismo del progresso, all’interno di questi processi possono determinarsi delle cadute negative sulla libertà e soggettività dell’uomo e una sua disumanizzazione.

E’ partendo da queste preoccupazioni che si rende esigente il ristabilimento di un’etica che salvaguardi la dignità e la irriducibilità dell’umano.

Ho voluto proporvi questi scenari per cercare insieme di cogliere la complessità dei tempi che stiamo attraversando e dove dobbiamo collocare la questione del lavoro.

Bisogna fare ogni sforzo per riportare al centro del dibattito sociale e politico le nuove emergenze che sono : la questione antropologica, sociale, economica, ambientale, alimentare: E’ su queste che ci dovremo misurare nel prossimo futuro, poiché è su di esse che si misurerà la qualità della nostra vita e della democrazia.

E’ chiaro che questo richiede un cambio di passo, fintanto che l’Europa, l’Italia e l’Occidente resteranno vincolati a politiche liberiste e a interventi recessivi non avremo effetti sul lavoro , sull’occupazione e sul reddito che sono i problemi dell’oggi.

Bisogna al contrario aprire un dibattito pubblico per recuperare il tempo perduto. Abbiamo tutti il dovere di dipanare il fumo politicista per affermare : senza lavoro, senza interventi «non convenzionali» per il lavoro, non ci sarà una nuova stagione per l’Italia e per la sua democrazia.

Nel breve periodo occorre che vengano affrontate tre emergenze : occupazione e ammortizzatori sociali, fisco, pagamenti e credito alle imprese. Il rifinanziamento della Cassa integrazione in deroga è urgentissimo e bisogna che si reperiscano in frette le risorse per garantire il sussidio per l'intero 2013 ai lavoratori delle aziende in crisi non coperti dalla Cig ordinaria. Occorre che si attivino le risorse disponibili per contrastare la mancanza di lavoro e per aiutare le famiglie più in difficoltà. Va affrontata con urgenza la questione fiscale per riequilibrare una pressione che sta contraendo lo sviluppo. Resta da risolvere il problema degli esodati e dei contratti che non sono stati rinnovare o da rinnovare.

Sul medio periodo il problema occupazionale e soprattutto per quella giovanile va affrontato con la messa in campo di azioni non convenzionali come : il servizio civile obbligatori in attività socialmente utili per tutti i giovani dai 20 ai 25 anni con una retribuzione minima; ripartire meglio il lavoro che c’è attraverso accordi di settore rinnovabili in tempi definiti; introdurre il pensionamento flessibile che il passaggio al sistema contributivo rende possibile. Mi rendo conto che queste possono apparire delle provocazione e mi si potrebbe obiettare che sono cose che costano, ma credo che quando si dice di volere introdurre il salario minimo si sia coscienti che l’intervento pubblico sia comunque necessario.

Resta la questione della riduzione del debito pubblico per liberare risorse e rendere le nostre politiche economiche più libere dai condizionamenti esteri e poiché nessuno ci presta denaro senza avere dei ristorni certi tocca a noi dimostrare di essere virtuosi. La riduzione del debito passa anche e soprattutto nella creazione di lavoro produttivo , capace di generare ricchezza e domanda di beni materiali e immateriali.

C’è bisogno di politiche che creino lavoro per fare questo servono investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali di cui il paese ha bisogno. Si pongono tre questioni :

  • agire su progetti concreti da realizzare con l’apporto europeo, ma per fare questo serve anche una classe politica onesta, competente e tesa al bene comune e non agli interessi propri .

  • aumentare la competitività delle nostre imprese . La difesa del Made in Italy va bene,ma rischia di assumere tratti conservatori se non è accompagnata da forti processi di innovazione e da un profondo cambiamento dei paradigmi tecnologici,

  • ragionare in termini di “sistema paese” e pertanto investire sul sapere, sulla scuola, sull’università, riformare la giustizia e rendere più attento alla struttura produttiva e il sistema bancario e finanziaria , diffondere la legalità, la buona occupazione e lavoro dignitoso.

VERSO UNA SOCIETA' PIU SOBRIA

Come sappiamo il Toniolo non si limitò all’analisi dei problemi ma diede indicazioni precise sul come affrontarli e propose in contrasto con i liberali e i socialisti l’idea di una economia sociale, ovvero di un modello economico che non era centrato solo sul tornaconto individuale o sulla concentrazione statalista , ma che privilegiasse il ruolo delle persone.

Ora sulla base di quell’insegnamento, dopo cent’anni e più di Dottrina Sociale che ha prospettato nuovi orizzonti , ci dobbiamo chiedere se dobbiamo mantenere un atteggiamento acritico verso un sistema economico capital-consumistico che ha ignorato la persona, distrutto e negato i valori essenziali come la tutela dei deboli, la solidarietà, il disinteresse relazionale,il dono, il senso della rinuncia e del sacrificio, l’indebolimento delle relazioni comunitarie. Un modello che promettendoci la ricchezza ha finito per impoverirci.

Dobbiamo avere il coraggio di nuove vie. Il termine austerità non ha mai sollevato il mio entusiasmo perché avvertivo in esso il senso della restrizione mentre continuo a pensare che la strada che dobbiamo percorrere è quella della sobrietà, di nuovi stili di vita basati su nuovi modelli di consumo, la cura dell’ambiente, il recupero del lavoro manuale e agricolo, il risparmio di energia, favorire il formarsi di nuove relazioni sociali e personali in cui la solidarietà e la compagnia faccia premio sull’individualità e la competizione.

Significa anche ripensare il ruolo del lavoro nella vita quotidiana, nel rapporto con la famiglia, nell’uso creativo del tempo libero salvaguardando la dimensione sociale e comunitaria della Domenica.

Qualcuno potrebbe pensare che sto inseguendo i teorici della decrescita, non è questo il mio intendimento perché penso a una crescita che non sia solamente economica ma umana.

Ci si deve impegnare per affermare un’idea sociale che dia senso al vivere e dunque al lavorare, evitando di ripiegare tutto sull’economico in modo che si abbia cura dell’attività che piace o che dobbiamo scegliere e mettersi nella condizione psicologica e nella disposizione di una costante acquisizione di conoscenze basate solide basi formative e informative, applicare a se stessi, anche nelle difficoltà, visioni positive e tese ad una efficacia che sia sempre in grado di risvegliare i nostri potenziali nascosti .

Nuova Economia

 

Quando parliamo di aiuti allo sviluppo usiamo molte volte il concetto di “ tecnologie appropriate” per significare l’esigenza di rispetto verso territori e persone che non possono essere “violentati” da incursioni tecnologiche che non sono in grado di gestire o di orientare, credo che lo stesso concetto di “appropriatezza” lo possiamo utilizzare anche per l’economia. Se è vero, come dice Schumpeter, che il capitalismo progredisce attraverso processi di “distruzione creatrice” , serve valutare quali sono i danni che la distruzione genera e valorizzare o stimolare la creatività Ecco perché credo che ragionare in termini di “appropriatezza” possa essere utile a costruire il futuro.

 

Tenendo conto di quanti è detto in precedenza tre potrebbero essere gli ambiti da promuovere per generare nuovo lavoro:

 

  1. una economia sociale basata e tesa a promuovere relazioni umane più solidali;

  2. un’economia dell’utilità sociale, ambientale e territoriale in grado di rispondere ai bisogni di natura collettiva che il mercato tradizionale non è in grado di soddisfare, capace di coinvolgere le risorse del mercato e quello del mercato sociale e solidale;

  3. un’economia solidale,basata sull’autopromozione , sul dono, la cooperazione, l’economia domestica e di prossimità.

Bisogna però evitare che questo modello di economia civile diventi una sorta di ghetto economico, e farlo diventare integrativo rispetto agli squilibri e alle distruzioni provocate dall’economica capitalistica. Da qui nasce l’esigenza di una battaglia culturale per dare alle varie forme di economia una cittadinanza vera anche per quanto riguarda il sostegno pubblico. Non basta sostenere gli esperimenti che sono già in atto ma occorre “costringere” l’economia dominante a integrare dentro di sé i principi della nuova economia .

 

Si tratta di promuove uno spirito di intraprendenza diffuso, sostenere le piccole e medie imprese, oltre che mettere in atto politiche industriali che promuovano una forte innovazione del nostro sistema produttivo. Si deve puntare in modo deciso sulla qualificazione dell’impiego e dei lavori investendo sulla formazione, la scuola e l’università, ma anche sulla creazione di competenze di base sia sul terreno cognitivo che sociale. La produttività e la competitività del nostro sistema produttive non si ottiene lavorando qualche ora in più o alla domenica , ma con l’accrescimento del sapere e del fare bene.

La dottrina sociale della Chiesa propone una visione culturalmente e socialmente dirompente rispetto agli schemi che sono andati e vanno per la maggiore, sostenendo la priorità della persona , il valore intrinseco dell’attività lavorativa e il principio di collaborazione tra capitale e lavoro , apre a prospettive nuove. Per collaborare occorrono delle persone che lavorano in spazi segnati da caratteristiche istituzionali ben definite , in cui l’orientamento al bene comune e alla vita buona e preminente rispetto a quello del puro profitto. Esiste un profitto sociale a cui tutti devono tendere se si vuole una società ben ordinata e libera.

Forse anche noi abbiamo diritto a quel poco di felicità che rende la vita saporita.

E’ chiaro che per fare questo serve un rinnovato impegno sociale e una nuova azione politica. Non penso certo a un nuovo partito di cattolici, credo che quel tempo sia tramontato. Non bisogna però rinunciare a mettere in campo le nostre proposte . Dobbiamo avere il coraggio di attivare degli spazi liberi al confronto, all’attività formativa aperti ai cattolici impegnati nei diversi schieramenti, con l’obiettivo di contribuire al formarsi di una retta coscienza politica e al formarsi di una nuova generazione politica. Si dovrebbe cercare di pervenire alla elaborazione di criteri etici fondamentali per i diversi schieramenti . Il Prof. Alici , già presidente dell’Azione Cattolica , ha proposto un impegno per la elaborazione di un nuovo codice di Camaldoli come manifesto di valori irrinunciabili cui aderire . Mi sembra una proposta interessante da approfondire, ma credo che soprattutto si debba segnare una presenza nelle nostre comunità, valorizzando il ruolo dei comuni, non come semplici luoghi dell’amministrare ma del convivere.