Elezioni 2013, riflessioni sul tempo nuovo della politica

di Savino Pezzotta

Vorrei offrire agli amici che mi seguono sul blog una prima riflessione sui risultati elettorali e attendo i loro contributi e proposte. I risultati delle elezioni politiche nazionali e regionali lombarde ci devono indurre a riflessioni molto attente e senza la pretesa di una parola definitiva. Con queste elezioni si è messo in azione un movimento di cui è difficile prevedere gli sbocchi e pertanto mi voglio limitare a elencare una serie di punti su cui aprire un dibattito tra gli amici che hanno condiviso o seguito in questi sei anni l’esperienza della Rosa per l’Italia.
  1. Il sistema politico italiano subisce dopo di quello di tangentopoli un nuovo scossone, forse maggiore di quello. Non solo perché come allora si affaccia sulla scena un nuovo soggetto politico molto più imprevedibile di quelli di allora e che conquista una centralità, ma anche perché si evidenziano gli elementi principali che hanno prodotto questo stravolgimento politico: una legge elettorale indecente, un bicameralismo simmetrico, un cedimento strutturale del nostro assetto istituzionale, il susseguirsi di episodi di corruzione e di mala politica, l’incapacità della classe dirigente di rinnovarsi e innovarsi;
  2. Finisce in malo modo e per effetto della volontà popolare la cosiddetta seconda repubblica, quella che si era illusa e aveva illuso si potesse generare maggiore governabilità attraverso la “vocazione maggioritaria” che si concentrava su due poli che s’identificavano nella figura dei leader di coalizione. Si era creata la convinzione che questo modello potesse generare un sistema di alternanza, mentre ha finito per ruotare attorno alla figura di Berlusconi com’è successo anche in questa campagna elettorale. In questi mesi si combattuta una battaglia contro Berlusconi da parte del Partito Democratico ed è stata messa in campo un’iniziativa con la creazione del centro-montiano di svuotare il centro-destra dal berlusconismo per costruire un centro-destra europeo. Tutto questo ha finito per riportare al centro del dibattito politico Berlusconi, di non affrontare in modo serio le questioni della crisi economico-occupazionale, della corruzione, del rinnovamento della classe politica e, soprattutto, del malessere sociale e civile che ha finito per condensarsi su e attorno al movimento cinque stelle. La Rosa aveva insistito, inascoltata, che sarebbe servita un’alleanza di Governo tra il centro e la sinistra da presentare all’elettorato, non si è voluto e così si è lasciato spazio alla demagogia di Berlusconi e alla dimensione protestataria che ha trovato rappresentanza in Grillo.
  3. La politica è ora costretta a uscire dall’illusione che di fronte alla profondità della crisi sociale, economica e morale che attraversa il nostro Paese bastasse un governo di “tecnici” e una serie di rassicurazioni verso l’Europa e l’Occidente attraverso la realizzazione di una politica di austerità economica. Come più volte ho avuto l’occasione di dire nell’ultimo anno: il bravo chirurgo ha bisogno per operare bene dell’anestetista. Ed è quello che è mancato. I “tecnici” poi sono “saliti” e scesi in politica e per un momento si è pensato che il bipolarismo evolvesse verso il tripolarismo con il centro-montiano a fare da elemento di mediazione o di equilibrio tra i due maggiori. E’ invece nato un terzo polo che squilibra gli equilibri e che sembra avere un’ottica molto di diversa da quelle fin qui sperimentate.
  4. I due maggiori partiti (Pd e Pdl) si sono ripartiti il 50% dell’elettorato, mentre l’altro 50% si divide in parti uguali tra astensionisti e Cinque stelle, dunque una minoranza del si appresta a governare potendo contare su un indecente premio di maggioranza. Viene allo scoperto la debolezza strutturale dei due partiti maggiori, da un lato abbiamo un Pdl che non può fare a meno di Berlusconi e dall’altra un Pd che non riesce a chiarire, come dimostra le evocazioni di Rienzi che circolano in queste ore, la sua identità e il suo profilo culturale oscillando costantemente tra il richiamo socialdemocratico e un indefinito democraticismo. Quella che doveva essere la novità di queste elezioni il Centro di Monti non riesce significativamente ad affermarsi. Credo che oggi alle forze politiche che hanno una vocazione di governo si ponga il tema di quale “vision” sociale, culturale e istituzionale li tenga in campo. Gli italiani hanno bisogno di avere una prospettiva per cui battersi, soffrire e gioire.
  5. Va tenuto presente che il Centro-Destra con la Lega vince in Lombardia, a dimostrazione di come le problematiche di quella che un tempo si definiva la “questione Settentrionale” sia stata dimenticata. Non va sottaciuto l’errore colpevole dei partiti centristi vecchi e nuovi di aver appoggiato Albertini invece di Ambrosoli e pertanto di essere complici della consegna alla Lega della regione Lombardia. Questa situazione può aprire uno scenario inquietante se teniamo presente qual, era il programma con cui si è presentato Maroni. Si deve anche tenere presente che nel nuovo Parlamento c’è una virtuale maggioranza non europeista. Il che può essere un problema nella prospettiva.
  6. Da adesso inizia una partita il cui esito non facilmente prevedibile e dove gli schemi e i paradigmi cui tutti abbiamo fatto riferimento e che ci hanno accompagnato sono diventati in larga parte inutilizzabili .
  7. Il problema della crisi economica-occupazionale è tuttora aperto in Italia ma mantiene una forza in tutta Europa e anche negli Usa e potrebbe anche aggravarsi e far trovare il nostro Paese politicamente nudo.
  8. Va tenuto presente che non ci sarà più in campo Napolitano e la sua saggezza istituzionale che ha consentito di governare quello che potremmo definire lo “stato di eccezione” in cui ci si era venuti a trovare.
  9. Il disagio sociale e civile, troppo a lungo ignorato, dimenticato, obliato e trascurato si è riversato nella rivolta grillina. Questo fatto può dispiacere ma non è un male perché si è comunque data una rappresentanza, ma scopre le debolezze della politica che nell’anno di emergenza in cui al Governo Monti era affidata la questione economica essa ha ignorato una serie di questioni come una nuova legge elettorale, la lotta al conflitto d’interessi, i costi della politica, le riforme istituzionali, le sofferenze reali delle persone colpite dalla crisi, rifugiandosi nella sua autoreferenzialità. Nello stesso tempo non posso non notare che è mancata una capacità del sociale e del sindacato di coagulare attorno a sé il malessere e pertanto di svolgere quel ruolo democratico che ha sempre svolto. Inoltre bisogna fare i conti con un cambiamento che è profondo e che mette in discussione molti dei concetti nei quali siamo vissuti e la convinzione che si potesse economicamente crescere all’infinito. Le persone non sono ancora entrate nell’idea che siamo dentro cambiamenti molto profondi, anche perché la politica e chi lo doveva fare non ha spiegato, come la crisi che ha investito il mondo e l’Occidente in particolare, non è come quelle che abbiamo vissuto ma segna un cambio d’epoca e che esige un cambiamento negli stili di vita, nei modi di consumare e delle relazioni sociali. Non si tornerà come prima anche se oggi nessuno è in grado o ha la forza di spiegarlo. Capisco la reazione sui costi della politica ma è sbagliato illudere le persone che basta ridurre questi spese per risolvere le questioni. E’ vero che se i costi della politica, il carattere quasi strutturale assunto dalle tangenti erano moralmente condannabili prima della crisi e della disoccupazione che hanno liquefatto 800.000 posti di lavoro nell’ultimo anno e la chiusura di un migliaio d’imprese, li hanno resi insopportabili, ma nello stesso tempo occorre anche essere coscienti che azzerando tutti i costi delle rappresentanze si risparmierebbero quattro miliardi contro i circa 2000 miliardi del nostro debito pubblico. I problemi che la grande trasformazione pone sono radicali e forse esigono risposte altrettanto radicali.  La questione che ci dobbiamo porre, sulla quale vado riflettendo in questi ultimi due anni e che mi ha reso problematico verso la politica, è se il sistema economico entro il quale abbiamo vissuto e che ha creato il benessere di cui molti di noi hanno goduto e che era basato sulla crescita illimitata, è ancora in grado di mantenere i suoi presupposti. Oppure se siamo arrivati al punto che occorre progettare nuove modalità basate sulla crescita umana e sulla sobrietà degli stili di vita.
  10. In queste elezioni il mondo cattolico ha dimostrato con chiarezza che, come più volte ci siamo detti negli incontri della Rosa per l’Italia, non esiste più come “mondo” e pertanto non è più capace di esprimere un orientamento politico. E’ diventato come il resto della società italiana, un mondo plurale e per certi versi si è individualizzato e frammentato. Le speranze che si erano alimentate con gli incontri di Todi sono state deluse e non hanno trovato una declinazione concreta. L’unica forza che dichiaratamente si dichiarava d’ispirazione cristiana e che per questo motivo aveva attirato la nostra attenzione con l’impegno a rinnovarla, l’Unione di Centro è stata travolta. Oggi, dopo le elezioni, nel panorama politico italiano non esiste più una forza piccola o grande che faccia riferimento esplicito a questa ispirazione. E’ un bene o un male? non sono in grado di dirlo. Ci abbiamo provato con l’Udc e siamo stati messi alla porta. Al punto cui siamo, non vale la pena né la fatica puntare il dito contro le tante insipienze, i personalismi e gli errori compiuti.
Siamo entrati in una nuova fase della vita politica italiana e forze bisogna avere il coraggio di mettere sull’attaccapanni della storia molti dei nostri paradigmi per cercare un pensiero nuovo. Qualcuno ha definito questo nostro tempo come post-cristiano, ma proprio per questo tocca ai cristiani, nella loro nudità e povertà attuali, operare perché non si perda il senso dell’umano, della speranza contro la disperazione, della fede contro la sfiducia generalizzata mantenendo una tensione fra politica, vita, profezia. Il nostro essere cristiani non può più essere esibito per catturare consenso né tanto meno nascosto, ma vissuto nell’impegno della giustizia e della verità. Occorre che i cristiani impegnati nelle molteplici forme della  politica definiscano con chiarezza gli ambiti del loro agire:
  • Essere attenti alla questione antropologica senza usarla come arma divisiva ma come chiamata della politica dinanzi al valore intrinseco della persona umana, di ogni persona umana;
  • Promuove sempre e comunque partecipazione e dialogo in modo che lo spazio pubblico sia abitato e non occupato;
  • Contribuire a generare una nuova vocazione sociale che sia generativa di relazioni e impegni solidali;
  • Far sorgere l’idea che la politica prima di essere potere, consenso e rappresentanza è progetto coraggioso e capace di oltrepassare i confini degli interessi personali o immediati;
  • Essere capaci d’informazione, controinformazione e formazione corretta;
  • Avere cura dei poveri e delle fragilità;
  • Accentuare l’impegno per la pace e per la salvaguardia del creato.
Sono alcuni degli orientamenti che si possono assumere in modo trasversale tra i cristiani diversamente impegnati. Resto convinto che senza un impegno fattivo, aperto, dialogante dei cattolici difficilmente questo paese si trarrà fuori dalla crisi morale che lo erode. Ci si dovrebbe impegnare a ricostruire il paese cercando di definire una sorta di mappa dei comportamenti, trasversale ai diversi schieramenti, tesa a delineare uno spazio etico comune.