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Nuova edizione della prima uscita italiana del 1981 - “Comunità come bisogno”, il nuovo libro-manifesto di Ulderico Bernardi

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“Quel senso dell’esistere che la parola Comunità continua a evocare rimane, intatto nella sua valenza originaria. Come bisogno. Come spes unica per salvare l’umanità davanti al procedere di processi implacabili di globalizzazione, ristretta alla sola dimensione tecnologica, economicistica e speculativa, che genera enormi disparità tra l’eccesso e l’indigenza”.                                                                                                                               A trentasei anni dalla sua prima uscita italiana, datata 1981, il noto sociologo, docente e scrittore opitergino Ulderico Bernardi pubblica per la collana di scienze sociali di Jaca Book la nuova edizione del volume “Comunità come bisogno. Identità e sviluppo dell’uomo nelle culture locali”.                                                                                                In questo manifesto-appello di grande valore e attualità sul presente e il futuro della nostra condizione umana, come si evince dalle prime righe sopra citate, tratte dalla nuova introduzione dell’autore, il professor Bernardi sviluppa il suo pensiero  a partire da una preoccupata analisi delle dinamiche culturali e sociali del mondo moderno.                                                                                                                                      “Ci ritroviamo a vivere un tempo – scrive  – in cui ciò che vie esaltato è la precarietà, l’instabilità, insistendo con superbo distacco nell’ignoranza del passato. E questo spiega perché le relazioni fra gli uomini, le generazioni e i continenti siano divenute conclamate occasioni di ostilità, fino a manifestarsi in termini drammatici”.                                Di fronte a una globalizzazione tutta declinata sul versante economicistico e tecnocratico, che non lascia spazio alle dimensione dell’Homo religiosus, dei valori spirituali, del senso di appartenenza, dei percorsi della tradizione e della vitalità della cultura, “sbandamento, sradicamento, incapacità di ritrovare il senso dell’esistere sono mali che tormentano il nostro presente, confondendo e mettendo in stato di sofferenza molti giovani”.                                                                                                       Ecco allora la validità della lezione di ieri e di oggi di Ulderico Bernardi, il suo richiamo alla necessità della memoria come presente del passato, ai più alti insegnamenti di grandi pensatori internazionali e del magistero della Chiesa sul primato dell’uomo nella sua realtà di relazione e di condivisione di opere e destini,  al doveroso recupero di appartenenza, radicamento  e dialogo-scambio con chi è altro da sé attraverso i tre capitoli del volume su “La comunità come valore”,  “Una accumulazione chiamata cultura” e “Per l’identità”.                                                                             Con uno sguardo finale di ottimismo sulla realtà dei sui corpi intermedi, dalla famiglia alle istituzioni, sugli ambiti del dono, sull’apporto del volontariato e su tante esperienze locali di recupero del senso autentico di solidarietà che orientano alla costruzione del bene comune, oltre la crisi che stiamo attraversando, “che è economica nei suoi effetti – spiega Bernardi - ma non nelle cause”, perché tutto “viene dal collasso dell’ambiente culturale, ed è questo che va risanato”.                             “Lo sgomento in cui in cui vive gran parte dell’umanità – sottolinea ancora l’autore nell’introduzione del suo saggio – ha fatto riemergere l’insopprimibile sentimento della Comunità, d’una appartenenza condivisa, di un destino coinvolgente, che è sempre stato parte della cultura umana nelle sue espressioni più concrete, cioè in tutto ciò che viene a formare la cultura universale dell’uomo, che non può sentirsi appagata se non come universo di culture locali. Lo spazio territoriale dove la persona si forma, riceve il patrimonio dei padri, che continuerà a riflettersi ovunque decida di collocarsi in futuro”.     

UNA TARGA RICORDA A FREGONA IL SACRIFICIO DI OTTAVIO DE LUCA

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Un doveroso ricordo, una giusta memoria, un omaggio corale alla vita di un giovane ucciso per la libertà, per i valori più alti della Resistenza. Così è stata la cerimonia che la mattina del 25 aprile ha visto riunirsi a Fregona un folto gruppo di familiari, amici e cittadini per iniziativa dell’Associazione Volontari della Libertà di Treviso e del Comune di Fregona, nel nome del giovane partigiano della Brigata Cairoli, Ottavio De Luca, del Gruppo Brigate “Vittorio Veneto”,  ucciso dai fascisti l’11 luglio 1944. Allora era solo ventenne il garibaldino De Luca, di Osigo, nato il 14 agosto 1923: una targa ora ricorda il suo sacrificio a Fregona,  a lato della strada provinciale che sale al Cansiglio in corrispondenza del ponte sul Troyer, luogo esatto della sua tragica uccisione mentre tentava, insieme ad altri due amici, di fermare un’autocolonna diretta in montagna per un rastrellamento contro i partigiani. “Fulgido esempio di amore patrio e di profondo attaccamento ai valori di libertà e democrazia” è la dedica a Ottavio De Luca scritta sulla stele bilingue realizzata a cura del Comune di Fregona e della sezione vittoriese dei Volontari della Libertà. Partecipata e intensa la cerimonia sul luogo dell’inaugurazione la mattina del 25 aprile, con la corona d’alloro portata dalla giovanissima pronipote Francesca. Quindi, la benedizione da parte del parroco don Angelo Arman, gli interventi del sindaco Laura Buso  e del collega vittoriese Roberto Tonon, il discorso del presidente AVL Treviso Giorgio Prati, a ricordare tutti coloro che hanno donato la vita per la libertà e la democrazia. Presenti insieme a lui i vertici dell’AVL trevigiana, a cominciare dal 97enne presidente onorario Aldo Tognana, i vice presidenti Francesca Meneghin e Marco Zabotti, i segretari organizzativo e amministrativo, Emilio Boscheratto e Donato Antiga. A seguire la commemorazione ufficiale di Pier Paolo Brescacin , dell’ISREV di Vittorio Veneto, che ha ricordato la figura e il sacrificio del giovane De Luca. La nipote Gigliola Ciciliot, molto commossa, ha ringraziato per la solenne memoria dello zio Ottavio. E proprio Francesca Meneghin, promotrice dell’iniziativa, legata con parentela alle famiglie De Conti e De Luca, richiesta di un intervento finale ha concluso commossa rievocando l’avvenimento vissuto, con immenso dolore e altrettanta forza d’animo, dalla pro zia Teresa e dall’intera famiglia, conosciuta e stimata per i suoi grandi valori cristiani. 

PICCOLA ORCHESTRA VENETA, GRANDE MUSICA PER TUTTI

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Metti una serata di grande musica nel segno della memoria riconoscente, con un pubblico felice che applaude e sorride all’incontro con l’armonia e la gioia di voci e melodie.                                                                                                                                                       

Ecco il concerto che la Piccola Orchestra Veneta e i suoi solisti, diretti dal maestro Giancarlo Nadai, nuovo presidente dell’Associazione Musicale “Toti Dal Monte”- hanno offerto sabato 22 aprile nell’auditorium Battistella Moccia di Pieve di Soligo, ricordando con affetto il commendator Antonio Tomasi, don Mario Gerlin e il commendator Pietro Furlan.                                                                                                     

Grazie all’impegno organizzativo dell’Associazione Musicale “Toti Dal Monte” e dell’Associazione “Amici di don Mario Gerlin”, presieduta da Adriano Bellè, con il contributo del comune di Pieve di Soligo e il sostegno di Generali e Banca Prealpi, l’evento  ha raccolto come tasselli di uno splendido mosaico le esecuzioni del complesso orchestrale e dei solisti Marco Giglione al violino, Cristiano De Agnoi alla tromba, Roberto Spolaore al pianoforte,  Francesca Cescon al flauto e Sabrina Comin al pianoforte, insieme alle interpretazioni del cantante Enrico Nadai e della soprano Loredana Zanchetta.                                                                                                                                                                              

Davvero uno spettacolo di qualità e suggestioni rare, che ha proposto le musiche più belle di grandi compositori del passato e di famosi autori più recenti attraverso un riuscitissimo mix di note, stili e sensibilità, fino al’applauditissimo “bis” finale di “Let it be” dei Beatles  eseguito da Enrico Nadai con la vivacità e la freschezza del suo affermato talento.                                                                                                                                            

La serata -  presentata con la consueta bravura dalla giovane Elisa Nadai – è vissuta di tanti momenti emozionanti, del coinvolgimento del pubblico che gremiva la sala, dell’affettuoso tributo ai tre compianti protagonisti della vita della comunità pievigina e trevigiana – Tomasi, don Gerlin e Furlan – ricordati nel saluto iniziale come “tre grandi cristiani al servizio dei più alti ideali, sempre generosi e creativi, dediti al bene comune, cultori della bellezza, della musica e delle arti più nobili”, con un saluto speciale di riconoscenza al commendator Tomasi e al commendator Furlan per il lungo e appassionato servizio di responsabilità alla guida dell’Associazione Musicale “Toti Dal Monte”.                                                                                                                     

 

Un concerto speciale, un’espressione di autentica bellezza che ha saputo associare alla grande musica della “Piccola Orchestra Veneta” i valori e i sentimenti più profondi dell’umanesimo cristiano  delle nostre comunità.  

FEDE E BELLEZZA DA CUSTODIRE PER SEMPRE

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Grazie di cuore a don Giuseppe, a Raoul Bernardi, a Enrico Dall’Anese e a tutti coloro che hanno collaborato per questa bella pubblicazione dedicata alla Cal Santa di Pieve di Soligo.                                                                                                                             Sono importanti la raccolta di testi e immagini di storie antiche e recenti, e il racconto dell’impegno appassionato e generoso per avviare e completare i restauri: fanno luce su un luogo tanto caro, che ci appartiene come “paesaggio dell’anima”.           E’ l’antica Via Crucis fino al Calvario, testimonianza vera della fede dei nostri padri, che ha ritrovato nuova luce e splendore di un tempo grazie ad una sensibilità speciale, all’amore per le cose belle, alla dedizione per le azioni e i fatti che costruiscono comunità cristiana e civile. Ogni giorno, senza clamori ma con pazienza e virtù, nella fedeltà alle ragioni dell’umanesimo cristiano.

Oggi è fondamentale mettere “nero su bianco”, scrivere, ricordare, rimettere al centro della riflessione di tutti la nostra storia di comunità.                                               Nel tempo della connessione continua, del virtuale che prevale sul reale, della società “liquida”, occorre ritrovare radici, profondità e lentezza. La nostra comune matrice cristiana, la nostra identità. Serve non smarrire l’origine della strada, il senso del nostro cammino. Ecco il libro, che ricorda Cal Santa e chi una volta ha costruito vie, capitelli e chiese con coraggio e sacrifici, l’unità delle generazioni che non si spezza, la voglia di incontrare il futuro conoscendo fino in fondo quello che siamo stati, il patrimonio di fede e di vita di chi ci ha preceduto.

E se purtroppo è esistito un tempo di incuria e dissipazione rispetto alle testimonianze di pietà e devozione popolare della Cal Santa, il libro ricorda soprattutto la nuova consapevolezza, la voglia di riscatto, l’impegno a restaurare, rinnovare, rimettere a posto, così com’era, nella fedeltà all’intuizione e all’opera originaria. Un lungo elenco di persone, una grande coralità di privati, soggetti economici, associazioni ed enti pubblici, intelligenze, competenze e laboriosità intessute insieme, una sorta di “litania civile” che ha suscitato e motivato cuori e volontà, e ha ridonato simboli e meraviglie da custodire per sempre.

Oggi il progetto diocesano di cultura e turismo religioso “Beato Toniolo. Le vie dei Santi” propone eventi e itinerari di cultura e spiritualità, arte e bellezza per abitare le nostre esistenze. E la Cal Santa, la strada della Via Crucis verso la preziosa chiesa del Calvario sarà sicuramente compresa tra questi percorsi del nostro territorio, qui a Pieve, vicino al Duomo del Beato Toniolo, presso la casa natale di Andrea Zanzotto, guardando con fiducia ai bambini della scuola primaria intitolata al poeta, che proprio qui sorridono al futuro impresso nelle opere di una terra e di una fede antica e feconda, del popolo cristiano e dei santi di ogni giorno.                                                  

IL TURISMO RELIGIOSO METTE IN RETE DIOCESI E TERRITORIO

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Il turismo religioso entra a pieno titolo nell’agenda di promozione del territorio nelle province di Treviso e Belluno. La conferma arriva direttamente dal successo del convegno interdiocesano svoltosi venerdì 7 aprile nell’auditorium Battistella Moccia di Pieve di Soligo sul tema “Turismo Religioso – Cultura promozione e sviluppo per le nostre comunità. Le diocesi di Vittorio Veneto e Belluno-Feltre in dialogo con la società, l’economia e le istituzioni”.

Ben centocinquanta persone presenti nell’arco dei lavori pomeridiani, coordinati dal direttore scientifico del neonato Istituto Diocesano “Beato Toniolo. Le vie dei Santi”, Marco Zabotti, con tanti esponenti delle realtà ecclesiali e civili, del mondo della scuola e delle professioni, sindaci e amministratori comunali e operatori del settore che hanno ascoltato con grande attenzione interventi, comunicazioni e dialoghi dei vari relatori accorsi a Pieve di Soligo, per un giorno piccola “capitale” veneta del turismo religioso.  

A cominciare dal Vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, che ha parlato soprattutto della “relazione fra azione pastorale e turismo religioso, che punta a valorizzare beni della Chiesa cattolica che sono nella libera fruizione di tutti, offrendo occasioni importanti di crescita spirituale e culturale”, mentre il Vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni, si è soffermato “sulla domanda di senso religioso che attraversa le persone e i gruppi interessati a questi percorsi, in una società profondamente mutata nei suoi riferimenti di tradizione cristiana”.                              Per parte sua, don Gianmatteo Caputo, direttore dell’ufficio nel Patriarcato di Venezia e incaricato triveneto beni culturali e edilizia, ha messo in luce “le grandi opportunità di incontro, di accoglienza e di crescita complessiva per le comunità ecclesiali e civili che possono derivare da una dinamica turistica capace di esaltare la bellezza e la genialità dei luoghi sacri, e la loro autentica vocazione religiosa”.

All’inizio della seconda sessione, un racconto in video a cura di Federico Campodall’Orto ha espresso in sintesi, con la forza delle parole e delle immagini, tutte le attività svolte in quattro anni dal progetto “Beato Toniolo. Le vie dei Santi” della diocesi vittoriese, che ha promosso cultura e spiritualità, arte e bellezza, la formazione degli operatori culturali volontari e tante iniziative di accoglienza e di visite nelle chiese tra Piave e Livenza, da tempo ormai in stretto raccordo con Belluno, come ha ricordato nel suo saluto il presidente dell’Istituto, Diego Grando. 

E proprio la profondità di contenuti e la concretezza di risultati della sinergia del lavoro delle due diocesi è stata al centro della narrazione di Cristina Falsarella, Ivana Faramondi e Andrea Bona, rispettivamente presidente, vice presidente e componente del Comitato Turismo Religioso delle diocesi di Belluno-Feltre e Vittorio Veneto, che hanno evidenziato  il lavoro intenso per il corso superiore biennale per operatori del turismo religioso, i concorsi per le scuole e l’apertura ad altre realtà diocesane dell’Alto Adige, ponendo anche il tema di un possibile riconoscimento per gli operatori culturali ecclesiali che fanno accoglienza ai visitatori nei luoghi sacri.

Una dinamica di rete, quindi, sempre più ampia e più ricca anche a livello interregionale, nella quale è bene inserito il progetto della via dei pellegrinaggi “Romea Strata”, illustrata con passione, efficacia e immagini dal suo ideatore e animatore, don Raimondo Sinibaldi, direttore dell’ufficio pellegrinaggi della diocesi di Vicenza.     

Il terzo momento del convegno, incentrato sui rapporti diffusi di collaborazione del turismo religioso con i soggetti attivi e i portatori d’interessi del territorio, ha visto un primo confronto con Paola Pagotto, presidente della Cooperativa Insieme Si Può, Innocente Nardi, presidente Consorzio Tutela Prosecco DOCG, Giovanni Follador, presidente regionale Unpli, e Michele Genovese, direttore Gal Alta Marca Trevigiana: hanno tutti espresso piena adesione e disponibilità alla progettualità, e sottolineato il valore della relazione con il turismo religioso anche rispetto ai temi dell’identità cristiana e della socialità per la vita delle comunità locali. 

Infine, dal punto di vista dei rapporti con i soggetti istituzionali, sulla scia di positive esperienze già realizzate insieme, la conferma di importanti condivisioni e aperture alla collaborazione è arrivata da Luciano Fregonese, presidente Consorzio Bim Piave di Treviso (anche a nome del collega presidente Bim Belluno, Umberto Soccal), Gabriella Faoro, dirigente della Provincia di Belluno, Roberto Fava, consigliere delegato cultura e turismo della provincia di Treviso, e dal dottor Flaviano Torresan, dell’ufficio promozione turistica integrata della Regione Veneto.                                                    Analogo messaggio di apprezzamento e volontà di sinergia era arrivato nei saluti di apertura del convegno da parte dal sindaco di Pieve di Soligo, Stefano Soldan, anche nella sua veste di presidente IPA Terre Alte Marca Trevigiana.   

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